Sfilata Comme des Garcons, Watanabe, Ninomiya p/e 2023 |Stile

2022-10-26 12:07:47 By : Mr. Geraint Guan

«Un lamento per la sconfitta nel mondo di oggi. E la sensazione di voler stare insieme» Rei Kawakubo non è radicale, di più, perché pronuncia l’impronunciabile, la sconfitta della speranza, della cultura del progresso di pace: è questa la sua collezione primavera/estate 2023 di Comme des Garçons. Una collezione in cui gli abiti contengono, proteggono, si contengono uno nell’altro, insieme si aggrovigliano per proteggere il corpo, si affastellano uno sull’altro per «stare insieme» e aumentare l’impatto del loro ruolo, la protezione e la prospettiva di una soluzione migliore. Le gonne sono indossate come rivoltate all’insù per coprire la testa, altre gonne si agganciano ai fianchi di un’altra gonna lunga, abiti che inglobano strutture di distanziamento e, ancora una volta di protezione. Come al solito, la sfilata è sempre uno shock emotivo che questa volta aumenta l’effetto con la musica di Eleni Karaindrou (Adagio, 1990; The Weeping Meadow, Parade), compositrice greca allieva di Ennio Moricone e autrice di molte colonne sonore per i film di Theo Angelopoulos.

Nell’assemblaggio variegato del calendario di Paris Fashion Week c’è però una giornata fondamentale che viene da tempo definita «il giorno dei giapponesi». Scendono in campo (e questa volta è la prima dopo la lunga pausa della pandemia) Junya Watanabe, Kei Ninomiya e la sua Noir e Rei Kawakubo e la sua Comme des Garçons con le sfilate a distanza di poche ore una dall’altra. Mattina, mezzogiorno e pomeriggio sono così assicurati da una visione che è fuori dall’ordinario perché sposta l’attenzione in tutt’altra dimensione, quella di un’elaborazione che non è mai scontata, seppure ormai caratterizzata da un codice narrativo forte anche della propria ripetizione. All’origine di tutto c’è, ovviamente, Rei Kawakubo, la madre di tutte le tendenze, l’elaboratrice di tutti i concettualismi, la sibilla di tutte le comunicazioni attraverso i vestiti. Molti anni fa in un incontro per il lancio della prima versione del profumo Odeur 53 mi disse che per la fragranza aveva pensato «all’odore che sprigiona la lama bagnata di una spada colpita da un raggio di sole». Come non amarla di amore immortale? E come non amarla anche per il semplice fatto che ha dato la possibilità ai suoi collaboratori di essere autonomi nell’immaginazione della loro visione di moda? Ecco perché la «giornata dei giapponesi» acquista un rilievo importantissimo in una settimana della moda che ha un calendario infinito distribuito su 9 giorni, un’occupazione del territorio e delle attenzioni che sono la versione dell’anti-modernità in forma di calendario e che è troppo discontinuo per qualità e originalità delle proposte.

Watanabe è quello dei tre che più osserva la cultura occidentale/europea e la rilegge con i suoi occhi pieni di ammirazione e di reinterpretazione. Per la sua primavera/estate 2023 il suo viaggio è nella Londra degli anni Ottanta dove, in una versione New Romantic esplora tutte le espressioni delle subculture giovanili, dal punk al rock, che in realtà nella capitale inglese sono tutt’ora presenti se non proprio protagoniste. Quindi, come suggerisce la colonna sonora dei Cure, moda&ribellione senza nostalgia vengono raccontate da tartan scozzese, borchie, perle, vestiti non finiti fatti con tessuti dalla cimosa a vista, spille, catene, pelle, suole alte e capelli colorati. Come sempre, Watanabe ha collaborato con molti brand famosi: ci sono i Levi’s originali, giubbotti customizzati da gara motociclistica della giapponese Komine e sneakers di Ash customizzate a partire dal modello Extreme. Oltre a giubbotti di McLaren, Honda e uno vintage di Bates che arriva dal negozio di Tokyo BerBerJin. La leggerezza con la quale Watanabe ha trasportato questa storia del passato fino ai nostri giorni ne racconta il suo valore di designer. News, approfondimenti, tendenze, tecnologie, materiali e protagonisti: tutto quello che c’è da sapere sul mondo dell’orologeria. Iscriviti subito alla newsletter

La poetica con la quale Kei Ninomiya ha sempre raccontato la sua visione dei vestiti, almeno dalla sua prima sfilata in singolo nel 2019, lo porta ad allestire dei fairy tales molto originali. Un’immaginazione pura che si nutre di racconti un cui l’abito diventa soltanto la base su cui poggiare strutture fisiche e significati, sfidando perfino il pericolo che una moda così intesa sia un po’ scollata dalla realtà in un momento in cui la stessa moda viene chiamata a compire fatti e non a pronunciare parole. Eppure, i suoi completi in principe di Galles o in pied de poule sotto quelle strutture aggiuntive di poeticissimi bustier che reggono fiori irreali quanto ricchi del profuno dell’emozione, o quelle corone/cappelli (sono di Takuro Kuwata) sistemate sulle parrucche bianche (preparate da Koichi Nishimura) costruiscono i personaggi di un racconto che si svolge in un viaggio mistico all’interno di quel percorso che lo stesso designer ha costruito giorno dopo giorno nel suo mondo Noir. Anche qui da segnalare una collaborazione: Kei Ninomiya ha customizzato tre modelli di stivali di Hunter, la casa scozzese famosa per gli stivali in gomma Wellington.

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